“La paura di essere brutti” di Gustavo Pietropolli Charmet

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A cura di Chiara Borgia, Psicologa e Sessuologa

L’ideale secondo cui “la bellezza è giovinezza” è a tal punto radicato nella società dei nostri giorni, che gli adolescenti, imbarazzati dall’esplodere dei loro nuovi corpi, si sentono così a disagio nell’incarnare l’ideale da finire con l’attaccarlo, anche con rimedi piuttosti estremi. É come se dopo aver trascorso una infanzia felice e ricca di successi su ogni campo, alcuni adolescenti si sentano incapaci di mantenere le promesse. Questo rimorso, unito alle elevate aspettative dei familiari e della società, origina il loro un dolore insanabile.

Secondo Gustavo Pietropolli Charmet, psicoterapeuta ed indiscusso esperto dell’età evolutiva, lungi dal sentirsi belli e intensamente amabili, gli adolescenti di oggi sarebbero ossessionati dall’idea di essere di brutti e per questo motivo attacherebbero il loro corpo con digiuni ascetici, interminabili ritiri sociali e travestimenti di dubbio gusto. Si tratta del vissuto profondo di abitare in un corpo deludente, impresentabile, che costringe o a ritirarsi dalla visibilità sociale o a tentare di modificarlo in tutti i modi“.

Fermi nella loro convinzione di non avere nessuna chance, nessuna possibilità di avere successo nè tantomeno di suscitare desiderio nell’altro, questi adolescenti mortificano il loro corpo con tagli, digiuni,piercing e tatugaggi vari nel tentativo, perlopiù inconsapevole, di ribellarsi all’ideale estetico di giovinezza proposto dai media.

In alcuni casi l’immagine  corporea è talmente deformata che si vede del grasso anche dove non c’è. E‘ il caso de „le ragazze della setta dei DCA (disturbi della condotta alimentare)“, che, attraverso impietosi diugiuni, „cercano di far sparire il corpo“, letteralmente.

Alla stessa matrice, il sentimento di bruttezza patologica, possono essere ricondotti altri vissuti e comportamenti di adolescenti in forte disagio. Si sentono brutti anche coloro che, dopo una vivace infanzia, vestono solo abiti neri, trafiggono il loro corpo con piercing di ogni sorta e lo incidono con tatuaggi, o peggio ancora con pericolosi ed indelebili tagli. Si tratta di „ragazzi e ragazze devotissimi al culto del funerario orrido e bruttissimo, capaci di occultare il corpo giovane appena avuto in dotazione da madre natura sotto i paramenti funerari, quasi dovessero celebrare il funerale del proprio corpo infantile invece che festeggiare l’avvento del corpo erotico“.

Molti di loro invece decidono di ritirarsi, o meglio di ritirare il loro corpo dalla passarella, per ripresentarsi sotto forma di “avatar” da dietro lo schermo dei loro computer, unica possibile finestra sul mondo. Questi ultimi possono essere a ragione definiti a rischio dipendenza da internet.

Tuttavia, gli adolescenti che si sentono brutti ed hanno adottato queste drastiche misure per porre rimedio al loro dramma non hanno perso ogni speranza. Come afferma Charmet, “non potendo essere belli, allora fanno di tutto per essere bravi: e ci riescono quasi sempre in tutti gli ambiti in cui si cimentano“.Non è un caso che quasi tutte le adolescenti con disturbi alimentari siano abilissime nelle sport, molto dedite allo studio e a qualsiasi attività culturale si appassionino. Lo stesso vale per coloro che si affacciano sul mondo da dietro lo schermo del computer, bravissimi nei giochi di ruolo e geniali nell’utilizzo di qualsiasi strumento tecnologicamente avanzato.

Fortunatamente molti di questi ragazzi e ragazze riescono a concludere la fase dell’adolescenza nonostante le loro difficoltà ed in molti casi entrano nell’età adulta abbastanza equipaggiati per affrontare le nuove imminenti sfide.

Da “la paura di essere brutti si può guarire quindi. Tuttavia, Charmet non crede nella guarigione spontanea e raccomanda sempre un intervento di tipo clinico. Bisogna costruire quella che lui definisce una “task force”, una équipe ad hoc per ogni situazione, finalizzata a sostenere questi adolescenti ad uscire dalla prigione della bruttezza attraverso forme di cura in cui prevalga soprattutto l’amore, il solo, a suo avviso, in grado di riparare simbolicamente la corporeità deteriorata di chi si sente irremediabilmente brutto.

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