Edizione OsservaSalute2015: Investire sulla prevenzione

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 a cura di Alessandra Caciolli, laureata in Comunicazione Scientifica Biomedica

L’Edizione OsservaSalute di quest’anno consolida quanto già descritto nelle precedenti edizioni: gli stranieri sono una popolazione che dimostra di avere ancora problemi nell’accesso ordinario ai servizi sanitari, ma che progressivamente tende a utilizzarli, anche se si nota che tale utilizzo riguarda soprattutto gli aspetti della cura e meno quelli della prevenzione. In ambito sanitario, inoltre, non si può parlare di stranieri come di una popolazione omogenea, in quanto sia l’accesso, che l’occorrenza di specifiche problematiche di salute, sono condizionate dall’appartenenza culturale e, più specificatamente, dalla competenza linguistica, dalla condizione sociale e dall’approccio delle persone alla salute e alla malattia.

Questo è quanto emerge dall’undicesimo Rapporto OsservaSalute,  presentato lo scorso 26 Aprile e pubblicato dall’Osservatorio sulla salute delle Regioni italiane,  che ha sede presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. Le analisi contenute nel Rapporto segnalano numerosi elementi di criticità, soprattutto per i 5 milioni di stranieri  che vivono oggi in Italia.

I dati sulle malattie infettive non mostrano trend allarmanti, ma nel periodo 2004-2013 sono stati identificati 10.000 casi di epatite virale, di cui il 15% ha riguardato cittadini di nazionalità non italiana.  Questa percentuale è progressivamente aumentata negli anni, passando dal 10% nel 2004 al 22% nel 2012, mentre risulta diminuita dal 2013 in poi. Si evidenzia che la maggior parte delle diagnosi di epatite A e B sono state fatte a cittadini dell’Europa dell’Est e dell’Africa, mentre oltre il 50% dei casi di epatite B e C hanno riguardato cittadini provenienti dall’Europa orientale.  Dal confronto tra italiani e stranieri emerge che in Italia l’epidemiologia delle epatiti virali è cambiata positivamente negli ultimi anni, con una diminuzione della diffusione per tutti i tipi di epatite, sia negli stranieri che negli italiani. Mentre però negli stranieri rimane più diffuso  il contagio di epatite B, non sembrano esserci differenze significative tra italiani e stranieri per quanto riguarda la diffusione dell’epatite A e C.

Un dato interessante però riguarda il periodo di presenza in Italia: dei 3300 casi per i quali è stata resa nota l’informazione infatti, circa l’80% risultava residente in Italia da più di 1 anno, indice questo del fatto che l’infezione è stata contratta molto probabilmente da questi soggetti durante il periodo di residenza in Italia e non nel loro paese di origine.

Gli altri temi con particolare focus sugli stranieri residenti in Italia, di cui si è discusso nel corso dell’Edizione OsservaSalute 2015, sono la diffusione dei tumori del collo dell’utero e l’interruzione volontaria di gravidanza, tra le donne straniere. Nel mondo si stimano, ogni anno, 528 mila nuovi casi e 266 mila morti per tumore del collo dell’utero. Il Pap-test e i programmi di screening sono le uniche armi che abbiamo oggi a disposizione per prevenire ed eventualmente diagnosticare precocemente il tumore.  Per questa ragione, indicazioni nazionali e regionali puntano fortemente a rimuovere eventuali barriere all’accesso e ad aumentare la prevenzione dei tumori femminili per le cittadine straniere che vivono in Italia. Tra le donne straniere emerge che quelle provenienti dall’America centro-meridionale sono più sensibili al tema della prevenzione oncologica: fanno infatti più ricorso ad entrambi i test di screening, al contrario delle donne africane e delle donne asiatiche. La propensione al ricorso al Pap-test risulta maggiore al Nord e al Centro rispetto al Mezzogiorno, sia per le italiane che per le straniere. In particolare, le donne straniere del Nord-Est presentano una probabilità di accesso al Pap-test due volte superiore rispetto a quelle del Mezzogiorno. È forte anche l’effetto del titolo di studio: le donne straniere laureate presentano una maggiore probabilità di eseguire un Pap-test rispetto alle straniere che hanno conseguito solo la licenza media inferiore. Per le donne italiane, l’effetto della laurea rispetto alla scuola dell’obbligo risulta invece meno marcato nel ricorso al Pap-test.

Per entrambi gli screening si osserva comunque tra le straniere un’associazione diretta fra gli anni di permanenza in Italia e il ricorso alla prevenzione: risulta, infatti, evidente che all’aumentare del tempo vissuto in Italia cresce il ricorso agli screening. Ciò avvalora l’ipotesi che il processo di integrazione e inclusione nei programmi di screening e la messa in pratica di specifici interventi per il coinvolgimento delle donne straniere, favorisce l’accesso ai servizi sanitari.

Per quanto riguarda l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) è sempre stata elevata, anche se ultimamente le percentuali stanno scendendo, sia tra le donne straniere che tra quelle italiane.  Nel 2013, l’Istat ha rilevato 100.000 IVG a livello nazionale, di cui il 33% ha riguardato solo donne con cittadinanza straniera. A livello territoriale la percentuale di interruzione volontaria di gravidanza da parte di donne straniere si registra più elevata nelle regioni del Nord e del Centro, dove risiede una maggiore percentuale di popolazione straniera in Italia: in particolare, nel 2013, valori superiori al 40% sono stati osservati in Veneto, Emilia-Romagna e Umbria.

Osservando il fenomeno per età risulta invece evidente che la classe di età alla quale corrispondono i maggiori numeri di IVG è quella dei 20-24 anni, indifferentemente dalla cittadinanza.  Si parla quindi di giovani e giovanissime donne.  Rispetto al 2003 però, le donne rumene hanno ridotto del 71% le loro richieste di interruzione volontaria di gravidanza, a seguire le albanesi mostrano una riduzione del 41%, le marocchine del 32% e le cinesi del 25%.  Il decremento osservato negli ultimi anni tra le donne straniere riduce quindi finalmente il divario rispetto ai livelli delle donne italiane. Inoltre, la diminuzione rilevata anche tra queste ultime sembra rafforzare l’idea di un’efficacia delle attività messe in campo, specie dai consultori familiari, sulla prevenzione delle gravidanze indesiderate e il ricorso all’IVG.

Si evince quindi che la promozione delle competenze e delle consapevolezze delle donne e delle coppie sia l’obiettivo più importante da raggiungere per un ulteriore contenimento del fenomeno. Le donne straniere che ricorrono all’aborto volontario restano infatti ancora troppe  (circa il triplo rispetto alle donne italiane). Per questo motivo non bisogna distogliere l’attenzione dal fenomeno, ma continuare ad analizzare la situazione con riferimento alle diverse nazionalità, diversi comportamenti sessuali e diversa utilizzazione dei servizi, dovuti alle ovvie differenze culturali.

 Fonte: Osservasalute

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