HIV e migranti: lo studio aMASE

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A cura di Alessandra Caciolli, Laureata in Comunicazione Scientifica Biomedica

Dove hanno contratto il virus i migranti con HIV? E quali sono le barriere che hanno trovato in seguito, per l’accesso ai servizi sull’Hiv? Per cercare di dare risposta a queste domande è stato condotto a fine del 2015 lo studio aMASE (advancing Migrant Access to health Services in Europe).

Nell’ambito dello studio sono stati raccolti dati su circa 2000 migranti adulti diagnosticati con Hiv da almeno cinque anni e residenti nel paese di accoglienza da almeno sei mesi.  I risultati preliminari, basati su 1770 questionari, hanno mostrato un campione con un’età media di 37 anni per le donne e 36 per gli uomini. Più della metà delle donne che aveva contratto il virus proveniva dall’Africa e di tutte le donne intervistate, il 93%  ha dichiarato di essere eterosessuale. Il gruppo maschile più rappresentato è invece stato quello di provenienza America Latina e il 60% di tutti gli uomini intervistati ha dichiarato di essere gay. In una seconda fase dello studio è stato possibile risalire al momento di acquisizione dell’infezione da Hiv per il 70% delle persone. I risultati hanno mostrato che una gran parte dei migranti che vive con l’Hiv in Europa, ha acquisito l’infezione solo dopo la migrazione. Solo coloro invece che provengono dall’Africa sub-sahariana hanno più frequentemente contratto l’Hiv prima di emigrare, mentre tra chi viene dall’Europa occidentale, dall’America Latina e dai Caraibi e tra i maschi omosessuali, si è riscontrato più frequente che l’Hiv è stato contratto dopo la migrazione.

In un’ulteriore fase dello studio si è cercato di capire qual è l’approccio dei migranti all’accesso ai servizi sanitari nel paese ospitante. La maggior parte degli intervistati ha dichiarato di aver frequentato lo studio di un medico di medicina generale, un dentista, un pronto soccorso e in piccola percentuale anche le cliniche per la salute sessuale. Tuttavia si è riscontrato che solo il 15 % dei soggetti intervistati ha sentito nominare il test Hiv dal proprio medico di medicina generale, ma per il 60% se ne è parlato solo presso la struttura di cura delle infezioni a trasmissione sessuale. Per la metà degli intervistati comunque, le maggiori difficoltà avvertite nell’accesso alle strutture sanitarie, sono state soprattutto i tempi troppo lunghi di attesa, e in alcuni casi anche i fattori discriminanti, tra cui i pregiudizi sull’Hiv, ma anche sullo status di immigrato.

Lo studio ha evidenziato quindi che una grande percentuale di migranti che vivono con HIV in Europaha acquisito l’infezione nel paese ospitante solo dopo la migrazione. Si è inoltre rivelato che i migranti affetti da Hiv nel paese di accoglienza presentano dei chiari problemi nell’accesso ai servizi sanitari, perché discriminati dalla razza, dalla malattia e soprattutto perché poco informati dal medico di medicina generale.

Risulta quindi fondamentale attuare dei piani preventivi ma anche educare all’informazione il medico di medicina generale, il quale, grazie al suo ruolo, può indirizzare il migrante verso i test da fare e versole strutture adeguate dove farsi visitare.

Fonte: ANLAIDS

 

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