Non c’è classe senza pensiero critico

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di Lorenzo Arrais, Biotecnologo, iscritto al CdS Comunicazione scientifica biomedica, Sapienza Università di Roma

Solo pochi mesi fa abbiamo esaurito l’ossigeno urlando dai balconi un accorato grido di ringraziamento verso gli operatori sanitari che il fiato lo perdevano, e lo perdono, correndo veloci e senza sosta per permettere ai propri pazienti di non restare senza fiato.

Ma a quanto pare le bugie corrono più veloci, talmente leggere da volare da un altoparlante social all’altro senza mai toccare terra, così da non necessitare di fondamenta scientifiche solide per restare in piedi. Lo fanno sostenute dalle condivisioni e dai like di quella schiera di cittadini appartenenti alle più disparate classi socio-economiche che si fanno tutti muratori di quel palazzo di argomentazioni puerili che tentano, senza i mattoni dell’oggettività, di ostacolare tesi articolate su un preciso metodo di prove e controprove: quello scientifico[1].

Tale involuzione nei confronti di quello che, ai primordi della pandemia, sembrava essere finalmente un nuovo apprezzamento della pratica medico-scientifica, si è manifestata nella regressione che ci ha portato a un cambiamento di habitat: uno spostamento delle nostre mani applaudenti dal balcone al Personal Computer dentro casa.

Qui, il rumore delle dita sulla tastiera ha risvegliato quel dormiente bisogno di prevaricare con rabbia su chi, spesso, porta in modo competente e professionale il proprio contributo trascinando il fardello della comunicazione medico-scientifica (perché parlare di salute non è come parlare di altre tematiche [2]). E questo anche se lo fa adducendo prove e controprove alle proprie argomentazioni, laddove altri fautori della contro-scienza si basano su supposizioni, emotività e peggio ancora fonti senza ufficialità alcuna.

Questa “strenue” sequela di prove infondate diventa, nell’arena dei social, l’opposizione al metodo scientifico. Ciò spinge gli attori mancanti di metodo critico ad accettare tutte (e solo) quelle scorciatoie che portano ad una conclusione conforme alle proprie teorie contro-scienza. E viene fatto nella maggior parte dei casi senza secondi fini, credendo che le proprie illazioni abbiano concretezza e ragione di essere considerate rilevanti. Da qui si intuisce che le fila di audaci oppositori al “diktat sanitario” non utilizzino il metodo scientifico per verificare le proprie “teorie” per il semplice fatto che non sono in grado di farlo.

Ecco che quindi i deficit nella ricerca di più informazioni, senza fermarsi alla prima notizia, di conferma dell’attendibilità delle fonti, di lettura dei risultati, di annullamento delle percezioni provenienti da famiglia e amici, vengono rimpiazzati dalle scorciatoie di pensiero dei bias cognitivi,  molto più semplici da seguire[1].

La pandemia di Sars-CoV2 ci ha insegnato quale sia l’importanza della comunicazione nel settore medico-scientifico, e ci sta altresì insegnando che la necessità impellente di investire in professionisti che sappiano maneggiare le materie medico-scientifiche in campo comunicativo non è sufficiente, se dall’altro lato i cittadini non hanno quegli strumenti necessari per saper elaborare le informazioni[2-3].

Tutte queste evidenze esistono da tempo, la pandemia le ha solo acuite, e il banco di prova Covid19, oltre che ad averci fatto trovare molto spesso impreparati sul settore comunicativo, deve ora insegnarci come colmare quelle lacune che si presentano (come hanno sempre fatto anche prima) al di fuori di esso, quali ad esempio  la risoluzione dell’avversione verso pratiche della buona scienza come i vaccini, o la capacità di elaborazione di una visione più ampia che consenta di gestire una pandemia che cade a cascata verso tutte le altre pratiche mediche che vengono giornalmente erogate.

Per questo che è inutile e provocatorio ribadire a gran voce: “i negazionisti dovrebbero farsi un giro nelle terapie intensive”, perché il problema sta a monte, nel perché non si è in grado di far comprendere l’evidenza.  Tutto ciò si può colmare solo col far assimilare ai cittadini tutte quelle fasi che richiede la scienza per essere chiamata tale. Per questo le scuole dovrebbero essere le prime sostenitrici dello sviluppo del pensiero critico, caratteristica attualmente piuttosto latente[1].

Le nuove generazioni che avranno sviluppato una cittadinanza scientifica potranno così fare da target prima, e da canale di comunicazione poi, verso quei familiari e amici che non hanno dimestichezza nell’elaborazione di un pensiero critico. Forse questo permetterà un giorno di comprendere che di un vaccino non c’è bisogno di fidarsi, perché costruito passo passo seguendo le regole del metodo scientifico, non breve o lungo, ma corretto. La scienza non dovrà essere “creduta” come spesso si sente millantare, bensì letta, e per leggere i dati della scienza si deve essere in grado di analizzarli con occhio critico, muovendosi opportunamente tra le notizie e scartando quelle fake senza essere succubi di un diluvio informativo che spesso fa annegare la conoscenza[2].

Tuttavia, se da un lato il raggiungimento di una cittadinanza scientifica è fondamentale per la gestione delle informazioni, dall’altro la scienza non deve essere “politicamente” soppressa, ma veicolata in modo corretto, ovvero senza ritardare pubblicazioni, senza imbavagliare scienziati (quelli che seguono un corretto metodo basato su dati e non su supposizioni) e senza selezionare ricerche favorevoli[4]. La scienza è un bene pubblico: non ha bisogno di essere seguito ciecamente ma deve essere considerato in modo equo.  Così come la scienza non può essere strumentalizzata, ancor meno in periodi di crisi sanitaria, e per evitare ciò anche i cittadini, con gli strumenti dati dal pensiero critico, possono e devono essere in grado di disinnescare i “secondi fini” della scienza “non buona”.

“Le bugie hanno le gambe corte”, ma oggi anche la memoria sembra averle. Solo pochi mesi fa urlavamo un ringraziamento corale verso gli operatori sanitari, oggi, urliamo e basta.

[1] Gilberto Corbellini, “Nel paese della pseudoscienza”, Feltrinelli, 2019

[2] Michaëla Liuccio, Francesco Giorgino, “La Sanità medi@ta”, Mondadori, 2019

[3] Massimiano Bucchi, “Scienza e società”, Raffaello Cortina Editore, 2010

[4] Kamran Abbasi,  “Covid-19: politicisation, “corruption,” and suppression of science” , BMJ 2020;371

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