La crisi del pensiero critico al tempo della crisi sanitaria

0

di Lorenzo Arrais, Biotecnologo, iscritto al CdS Comunicazione scientifica biomedica, Sapienza Università di Roma

Quando il pensiero evolutivo esce dalla riflessività rischia di volare così lontano da non atterrare  più sulla faccia nascosta della Luna, che il progresso scientifico ci ha permesso di osservare, bensì su quella “sbagliata”, da dove la Terra si vede piatta. Così, per proteggersi gli occhi dalle visioni nel deserto, la scienza ha deciso di concedere il proprio palcoscenico solo a chi seguisse un metodo: quello scientifico.L’attuale deficit di pensiero critico si riflette in un quasi stomachevole grido di ringraziamento verso medici, infermieri e tecnici, gli stessi che fino all’avvento di Covid-19 dovevano lavorare impauriti di una denuncia per una qualche inadempienza, facendo così nascere la pratica della medicina difensiva1. Adesso non è più la maschera a fare l’eroe, ma la mascherina. Allora quando Covid-19 sarà passato dovremo avere memoria di quanto è stato, ed essere in grado di agire criticamente per aiutare a passare dalla medicina difensiva alla difesa della medicina. Dovremo anche imparare a difendere noi stessi da quei “professionisti” del settore che in un periodo di profonda crisi millantano metodi pseudoscientifici miracolosi nei confronti di Covid-19, ma non lo fanno seguendo la buona norma del metodo scientifico e fornendo quindi dati empirici, semplicemente affidano le loro idee ai media, che le veicolano infiocchettate di tutto punto ai cittadini, dando così vita ad una catena piena di anelli deboli. Parafrasando Giulio Cavalli potremmo dire che il 2020 lo chiameremo anno del lupo2. Lupi affamati, che ringhiano in gabbia pregando che un nemico qualsiasi gli riempia lo stomaco. Tutti intenti a scovare gli errori degli altri e alla fine siamo tutti boia che chiamano il loro cappio “giustizia”, a differenza di quella degli altri. Ecco che allora questi professionisti democratici del metodo scientifico, e gli altoparlanti media professanti il news-making3 dimostrano di essere, in un’accezione parallela a quella di Lash, perdenti della riflessività: incapaci di prevedere le possibili conseguenze alle proprie inosservanze fondante sulla supponenza, sulla supposizione e sulla mancanza di empatia, che si traducono anch’esse in una perdita di fiducia nel metodo scientifico stesso.

Ma provando ad essere critici: che giustizia può esserci di fronte all’ineluttabilità della morte? Figli di una generazione cresciuta nell’epoca delle malattie non trasmissibili ci siamo ritrovati catapultati nel terzo mondo, e improvvisamente ci siamo riscoperti fragili e terrorizzati. Ed il terrore da sempre partorisce terrorismo, e i lupi spaventati ringhiano contro chi è spaventato come loro, pensando di averne il diritto. Un’onda che di questi tempi viene generata e cavalcata in primis dall’informazione medico-sanitaria che, attraverso le logiche del news-making si infrange contro quelli che sono tutt’altro che scogli, bensì bacini di raccolta per fake-news4, notizie datate e/o notizie volte solo ad alimentare sfiducia. Tutta questa diga di “informazioni” viene sapientemente amministrata da lettori e uditori col callo da “swipe”, perché nella frenesia che ci è stata portata via da Covid-19 e nel diluvio informativo5 cui siamo sottoposti quotidianamente, sarebbe utopico avere tempo di dedicarsi per intero a una notizia senza fermarsi al titolo cruento o inneggiante al complotto; oppure ricercare (come chi alla ricerca dedica la propria vita, e di questi tempi nel vero senso della parola) feedback riguardanti l’attendibilità di chi sta veicolando quell’informazione; o perché no ascoltare chi di tempo per la propria formazione ne ha impegnato tanto, ma che adesso nutre un profondo senso di delusione nei confronti di quelle persone che avrebbe voluto solo aiutare a comprendere, ma che con la loro arroganza si sentono in diritto di far valere le loro opinioni su argomenti che opinioni non ne conoscono. Perché oggi più che mai il singolo non vale più “uno”, ma il suo patrimonio sociale viene elevato a potenza dai mezzi di comunicazione e dai social media. Ciò si traduce nella concreta formazione di una catena che parte dai professionisti del settore, per passare ai media e arrivare ai cittadini, nella quale tutti gli anelli dovrebbero essere allenati allo sviluppo di un pensiero critico, atto alla riflessione, alla rielaborazione e alla successiva condivisione se, e solo se l’informazione si rivela attendibile (scientificamente provata). Quando questo non avviene, tutto si traduce in un eco persistente di un telefono senza fili attraverso cui vociano gli smascheratori di complotti a tempo pieno, creando in questo modo sfiducia nel metodo scientifico con illazioni che di scientifico, curiosamente, non hanno nulla. Ciò diventa tremendamente pericoloso soprattutto quando a farne i conti ne è la pratica medica, perché qui non si parla di punti di vista e di numeri poco precisi, come freddamente molte testate giornalistiche titolano i propri quotidiani per scaldare le folle, ma di vite.

L’unico modo per fronteggiare tutto questo è quello di sviluppare una cittadinanza scientifica6 che ci permetta di non essere completamente dipendenti da chi interagisce con noi, ma che ci permetta di interpretare e indagare. Il tempo della “zona rossa” lo potremmo quindi tradurre come il tempo dell’impreparazione. Non tanto un’impreparazione da un punto di vista sanitario, bensì un’inottemperanza nello sviluppo di un pensiero critico, riflessivo, scientifico7. La “zona rossa” dovrà fare da base alle nuove generazioni per imparare a costruire questo tipo di pensiero, fatto di quella continua messa in discussione che spesso manca proprio nell’istruzione8. Per evolvere ed arrivare in alto servono fondamenta altrettanto profonde, e questa volta purtroppo saranno scavate da tutti quelli che ci lasceranno. E non ci si può rompere in pezzi più piccoli se si pensa a tutte le persone in terapia intensiva che se ne andranno senza un ultimo saluto, un abbraccio, un “sarò sempre con te”. Martiri di un bene collettivo mentre altri, incapaci di connettersi con un’accezione non virtuale a chi si trova nel limbo tra vita e morte, si preoccupano solo di ostentare le proprie libertà che a livello legislativo gli sono ancora concesse, come se il problema principale di questa crisi fosse capire se si può ancora fare sport in solitaria o meno, mentre c’è chi da solo sta morendo. Insieme al pensiero critico, allora, dovremo insegnare per quanto possibile anche l’empatia, partendo dal linguaggio che specialmente di questi tempi è prevaricatore. Ma soprattutto, di fronte a tutto questo dovremmo imparare quanto il ciclo perpetuo delle parole possa essere ingannevole, e provare quindi a restare in silenzio prima di parlare a sproposito.

[1,3,4,5,6] Michaela Liuccio, Francesco Giorgino – La sanità mediata (2018)

[2] Giulio Cavalli – A casa loro (2019)

[7,8] Gilberto Corbellini – Nel paese della pseudoscienza (2019)

Condividi