Un libro racconta 30 anni di campagne sull’Aids

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Trent’anni di campagne sull’Aids, 11 del ministero della Sanità/Salute in Italia, pubblicità pubbliche, private e non profit nel nostro Paese e nel mondo, tra prevenzione, discriminazioni, paure, sicurezza, siringhe, eros, amore, invito al test, informazione e bambini. Da quella storica del 1987 di Pubblicità Progresso (“Fate l’amore proteggendovi. Farete la guerra all’Aids”) e del 1988 che durerà fino al 1991 (Aids: se lo conosci lo eviti), al primo testimonial (Eros Ramazzotti nel 1990-1991). 526 campagne pubblicitarie apparse tra il 1986 e il 2016 composte da spot, annunci stampa, locandine o manifesti. Che tipo di campagne? Che linguaggi e quanto efficaci? A questi interrogativi cerca di rispondere, con una ricerca sul campo e tanto materiale analizzato, il libro di Emanuele Gabardi, “Stop Aids. I linguaggi della pubblicità contro l’Aids in Italia e nel mondo” (Franco Angeli editore, prefazione di Vanni Codeluppi, 160 pagine, euro 21,00). Gabardi insegna Pubblicità e strategie di comunicazione d’impresa all’ateneo di Bergamo e Teorie e tecniche della pubblicità a Torino, dopo una esperienza pluridecennale in agenzie. Chi meglio di lui?

Il preservativo fa paura. L’anomalia italiana traspare fin dalle prime pagine, con la fobia per la citazione del preservativo, rappresentata al meglio nella nota di pagina 40: “Quanto accaduto il 1° dicembre 2011, Giornata mondiale della lotta all’Aids, dimostra la situazione anomala italiana sull’argomento. Quella mattina i giornalisti di Radio Rai1 ricevevano un comunicato della direzione nel quale si annunciava che “il ministero ha ribadito che in nessun intervento deve essere nominato esplicitamente il profilattico; bisogna limitarsi al concetto generico di prevenzione nei comportamenti sessuali e alla necessità di sottoporsi al test Hiv in caso di potenziale rischio”. Il dicastero della Salute, da parte sua, affermava di non aver fatto alcuna pressione: “Nessuna interferenza. La giornata radiofonica è gestita da viale Mazzini. Anche il ministero, però, non usa il termine preservativo per le pubblicità e il manifesto studiato per la ricorrenza”. Si intrecciano visioni politiche e religiose: “Con il centrosinistra si può parlare di preservativi, con il centrodestra l’argomento diventa un tabù”. Comunque grandi differenze tra governi (Prodi-D’Alema con Bindi alla Salute rispetto a Berlusconi con Costa e poi Sirchia) non sembrano verificarsi (“il cambiamento politico si fa moderatamente sentire…”, scrive l’autore). Cambiava qualcosa a livello locale: “Tra le prime la Usl di Reggio Emilia, che nel 1988 girò uno spot censurato dal vescovo e dall’emittente Telereggio. A far scattare il divieto di programmazione una scena “erotica”: un’auto in sosta che dondolava perché a bordo c’erano due amanti. Ma forse, più che l’auto ballerina, a far scattare il meccanismo censorio era la frase che compariva in super “Trattatevi coi guanti”, un chiaro riferimento al profilattico”.

La questione testimonial. Una marea di testimonial sull’Aids, a cominciare da Eros Ramazzotti per finire con Raoul Bova (il quattordicesimo). Non convincono. “Si potrebbero anche sollevare delle obiezioni sull’utilità della presenza di un testimonial famoso, ma questa sembra essere un’abitudine consolidata non solo nelle campagne contro l’Aids ma in molti messaggi emessi dai vari ministeri”.

Fra ironia e provocazione. Assai più interessanti le campagne delle organizzazioni e associazioni nonprofit Arcigay, Anlaids, Cesvi, Nadir, Arché, Asa, Lila, NPS, l’emittente tv Mtv, tutti esempi di campagne più libere, a volte ironiche. Ma anche quelle dei produttori di profilattici che sono ovviamente ancor più interessati. Restano nella storia alcuni spot e manifesti anche premiati. Quello di Gavino Sanna, “girato a New York (…), durava un minuto e  resentava due ragazzi mentre facevano l’amore, ma poco dopo, come se venissero visti attraverso i raggi X, apparivano i loro scheletri. Alla fine la scritta “L’amore è una cosa meravigliosa? Dipende da te”. Ottenne un Leone d’Oro al Cannes Lions Advertising Film Festival del 2008″. C’è poi “il famoso  annuncio stampa di Benetton, con la foto di una famiglia americana che piange accanto al letto del figlio morente di Aids, pubblicato nel 1991.

L’annuncio è uno dei soggetti provocatori – spesso legati a tematiche sociali – con i quali Oliviero Toscani ha pubblicizzato il famoso brand di abbigliamento. Riteniamo che questa immagine – la più scioccante apparsa in Italia sul tema dell’Aids – abbia contribuito in modo non indifferente a far riflettere sulla gravità della malattia”. E sempre di Benetton-Toscani l’annuncio “con una serie di preservativi colorati, disposti in fila quasi a ricordare gli spermatozoi in viaggio”.

Nel Mondo. I primi a muoversi sono, nel 1986 gli inglesi. Negli Usa si inizia nel 1987 con testimonial particolari: “persone impegnate nella lotta all’Aids, come pure malati e i loro parenti”. Nel 1988, per la prima volta, nella televisione americana veniva usata la parola condom. Poi saranno i gay a spingere in senso liberal tutte le campagne. I manifesti choc, che l’autore del libro non disdegna, sono rappresentati da quello tedesco, “della campagna del 2007 di Michael Stich Stiftung,(…) Rappresenta una donna, inginocchiata davanti a un uomo al quale sta praticando una fellatio ma, al posto del pene, c’è una rivoltella”. Di campagne anti-Aids in Paesi davvero nel mirino, se non erro, citati solo i casi di Namibia e India.

La ricerca. Nel sottolineare l’importanza del linguaggio negli spot e manifesti anti-Aids (Gabardi, sulla falsariga di altri studi, individua otto tipologie dal patetico allo scioccante, dal trasgressivo al documentaristico) la parte finale del libro è dedicata ad una ricerca sul campo tra quasi mille studenti universitari tra i 20 e i 26 anni. Qui le campagne pubblicitarie sono state classificate secondo sei tipologie (Coscenzioso/sereno; Giocoso/ironico; Incosciente/irresponsabile; Consapevole/realista; Eros/Thanatos; Mortale/nefasto) e sottoposte con esempi prescelti dai ricercatori alla valutazione di studenti di Psicologia dei processi sociali (Milano Bicocca, età media 26 anni) e studenti della triennale Relazioni pubbliche e comunicazioni d’impresa (Iulm, età media 20 anni) per valutarne preferenze ed efficacia. Si è aggiunto poi anche un gruppo della triennale dell’università di Bergamo e nuovamente la Iulm (sempre età media 21 anni). Un totale di 843 risposte valide. La campagna preferita (soprattutto dalle donne, media totale 57,1%) è stata quella definita Consapevole, seguita da Incosciente/irresponsabile (14,8%). La più efficace è sempre quella Consapevole (35,6%) seguita da Eros/Thanatos (20,4%) e Coscenzioso/sereno (15,7%). Così viene definita la campagna consapevole/realista: “si propone di ricordare che ognuno di noi, quando intraprende una nuova storia, non deve dimenticare che il suo nuovo partner ha probabilmente avuto altre relazioni. Di conseguenza è opportuno, da parte di entrambi, sapere se si è portatori di Hiv come pure di qualsiasi malattia sessualmente trasmissibile e ricordarci che, in ogni caso, la prevenzione non è un atto di sfiducia, ma di rispetto”.

Le conclusioni. “Le campagne del governo italiano, dopo un inizio corretto, si sono spesso allineate alla mediocrità comunicativa che contraddistingue la pubblicità dello Stato. Le scelte politiche, la volontà di non prestarsi a critiche e la situazione di sudditanza psicologica nei confronti dei dettami della Chiesa cattolica hanno più volte influito sulla creazione di messaggi banali e sostanzialmente non in grado di produrre un atteggiamento maturo nei confronti del problema. Per contro, le campagne di alcune onlus hanno saputo affrontare i principali aspetti legati all’Aids, la prevenzione in primis, con maggiore attenzione”.

Promosse le tecniche di comunicazione che vanno sotto il nome di unconventional: “Ricordiamo, come un caso raro, il Condom Mob organizzato da Cesvi, con un preservativo gigante all’interno del qua-le entravano divertiti gli studenti dell’Università Iulm di Milano1 e dell’Università di Genova2 nel dicembre 2009. Un modo per far percepire come ludico un oggetto non sempre vissuto positivamente”. Il linguaggio “pauroso” (il fear appeal) sembra, anche da altre ricerche, una modalità possibile, tra le altre (“superiore efficacia dei messaggi emozionali rispetto a quelli puramente informativi … il fear appeal quale migliore strategia”).

Le raccomandazioni finali sono per campagne nelle scuole, nonostante lo storico problema della educazione sessuale mancante (la faranno i preti?), campagne mirate per gli stranieri immigrati, maggior attenzione ai luoghi dove svolgere tali campagne (consultori, studi medici, farmacie). Largo a messaggi unconventional, linguaggi meno banali o retorici e più creativi; magari copiare da altri paesi. Solo a pagina 146 si dice: “A quanto abbiamo finora esposto ci sembra utile aggiungere che, nel 2006, il 71% degli italiani (contro la media europea del 54%) pensava che il virus dell’Hiv potesse essere trasmesso con un bacio sulla bocca”.

Non si rammenta più lo “scandaloso bacio” del professore Fernando Aiuti sulla bocca di una sua paziente malata di Aids per sfatare proprio quella convinzione. Ci sembrò quella una comunicazione estremamente efficace, più della foto di Toscani per Benetton…

Fonte: La Repubblica

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