Covid-19 e disuguaglianze: le verità scomode

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di Michaela Liuccio, Presidente del CdS in “Comunicazione scientifica biomedica”, Sapienza, Roma

Nell’editoriale dell’ultimo numero del “The European Journal of Public Health”[1] Johan P. Mackenbach riflette sulle disuguaglianze di salute, sottolineando che il mondo in cui viviamo è estremamente diseguale, non solo in termini di reddito e ricchezza, ma anche in termini di durata della vita e di salute. E i due fattori risultano collegati: le persone che hanno meno risorse materiali tendono anche a morire più giovani e ad avere più problemi di salute durante la loro vita.

A suo avviso sarebbe importante focalizzarsi su tre “verità scomode”:

1) ci sono poche prove solide che la correlazione tra disuguaglianze socioeconomiche e disuguaglianze di salute sia causale, nel senso che il (dis) vantaggio socioeconomico produce (dis) vantaggio per la salute;

2)le disuguaglianze sanitarie non sono minori nei paesi con condizioni sociali più avanzati, come i paesi nordici;

3)siamo stati ossessionati dalle disuguaglianze relative di morbilità o mortalità, credendo che il vero progresso nella lotta contro le “disuguaglianze ” richiedesse la riduzione delle disuguaglianze relative, indipendentemente da ciò che accade alla frequenza complessiva dei problemi di salute di una popolazione.

La questione dei determinanti sociali di salute e delle disuguaglianze si fa ancora più urgente alla lente della pandemia Covid-19. Al momento mancano studi scientifici sulle disuguaglianze sociali nella malattia da Coronavirus 2019, ma è ragionevole presumere che le disparità nei determinanti sociali della salute comportino un’esposizione differenziale al virus, una vulnerabilità differenziale all’infezione e conseguenze differenziali della malattia. Questo è quanto affermano Bo Burstro e  Wenjing Tao[2]  che evidenziano come circostanze materiali limitate, quali ad esempio condizioni di vita affollate e famiglie multigenerazionali, possono aumentare il rischio di essere infettati da SARS-CoV-2. Così come il rischio di malattia grave e morte in COVID-19 è maggiore tra gli individui con cattive condizioni generali di salute e nutrizionali, e tra quelli con condizioni croniche sottostanti come malattie cardiovascolari, malattie polmonari, diabete e cancro. Ed è noto che la prevalenza di queste condizioni è inversamente associata allo stato socioeconomico. Per altro, poiché i comportamenti in tema di salute e sanità si riferiscono all’alfabetizzazione sanitaria e all’accesso all’assistenza sanitaria, e sono influenzati anche dai costi per gli utenti, le persone in condizioni socioeconomiche svantaggiate possono ritardare la ricerca di cure per COVID-19, provocando potenzialmente malattie più gravi e anche la morte.

Che cosa dunque si può fare?

Un punto di partenza importante è aumentare la conoscenza e la consapevolezza dei meccanismi sottostanti attraverso studi per capire come la malattia colpisce e attraverso quali percorsi ha un impatto più negativo su determinati gruppi di popolazione, prendendo lezioni da precedenti epidemie. I governi dovrebbero poi intraprendere azioni tempestive per mitigare i vari effetti negativi del COVID-19 e proteggere i gruppi più vulnerabili, soprattutto considerando le politiche che alleviano l’impatto economico sui lavoratori a basso reddito. Infine, le disuguaglianze emerse attraverso il COVID-19 indicano la necessità di piani di preparazione alle catastrofi al fine di garantire una risposta rapida e coordinata per proteggere le comunità più a rischio, soprattutto in una fase iniziale di eventuali crisi future.


[1] “Re-thinking health inequalities”, The European Journal of Public Health, Vol. 30, No. 4, 615

[2]  “Social determinants of health and inequalities in COVID-19”, The European Journal of Public Health, Vol. 30, No. 4,617-618

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