Disabilità: un problema trascurato nella sanità pubblica

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di Laura Bruni, CdS Comunicazione scientifica biomedica, Sapienza Università di Roma

Più di un miliardo di persone, circa il 15% della popolazione globale, ha una qualche forma di disabilità. Le disabilità includono menomazioni sensoriali, mentali, intellettuali o fisiche a lungo termine che possono influire sulla vita quotidiana delle persone e sull’assistenza sanitaria. La disabilità aumenterà sicuramente molto nei prossimi decenni con l’invecchiamento della popolazione globale. Un articolo, pubblicato a giugno 2021 su The Lancet Public Health[1], ha posto l’attenzione su questa problematica aggravata dalla pandemia di COVID-19. Purtroppo le persone con disabilità sono spesso trascurate dai sistemi sanitari e sono vittime di profonde disuguaglianze in materia di salute e benessere.

In alcuni casi, la prevenzione secondaria potrebbe ridurre gli anni vissuti con disabilità. Più di un miliardo di persone in tutto il mondo ha una qualche forma di disabilità visiva, tra cui 41 milioni di persone non vedenti, eppure il 90% della disabilità visiva è prevenibile o curabile. Anche la perdita dell’udito è un tipo di disabilità molto comune, infatti colpisce 1,57 miliardi di persone; l’espansione dello screening e del trattamento potrebbe ridurre sostanzialmente l’onere sanitario diretto della perdita dell’udito, lo svantaggio educativo tra i bambini con perdita dell’udito e il rischio di isolamento sociale tra gli adulti più anziani.

Molte disabilità, tuttavia, non sono prevenibili. Queste persone sono spesso escluse, attraverso discriminazioni dirette e indirette, dalla forza lavoro e dall’istruzione. Secondo l’OMS, la metà di tutte le persone con disabilità non è in grado di permettersi assistenza sanitaria, rispetto a un terzo delle persone normodotate. Quotidianamente si trovano di fronte a degli ostacoli come la mancanza di mezzi di trasporto idonei, strutture sanitarie inaccessibili e attrezzature o procedure non a misura di disabilità. Inoltre troppo spesso gli operatori sanitari non hanno le competenze necessarie per soddisfare le esigenze specifiche delle persone con disabilità o la giusta sensibilità che garantisca un trattamento equo. Gli operatori sanitari potrebbero non guardare oltre la disabilità di una persona per vedere altre esigenze sanitarie non correlate. Questi ostacoli possono anche escludere le persone con disabilità dalle attività sanitarie preventive che vanno dallo screening del cancro e l’accesso ai servizi igienico-sanitari alla semplice opportunità di esercizio fisico.

La pandemia di COVID-19 ha messo a nudo le disuguaglianze relative alla disabilità. I tassi di mortalità sono stati elevati tra le persone con disabilità e la qualità della vita è stata influenzata in modo sproporzionato dalle interruzioni dei servizi sanitari e dalla necessità di autoisolamento. Le persone anziane con disabilità in Inghilterra hanno avuto sintomi maggiori di depressione, ansia e solitudine durante il lockdown rispetto ai loro coetanei senza disabilità1. Durante la pandemia, nonostante siano state intraprese alcune iniziative positive, come per esempio la priorità vaccinale alle persone fragili, l’ingiustizia sanitaria affrontata dalle persone con disabilità è peggiorata. La pandemia di COVID-19 dimostra inoltre che i sistemi sanitari e di assistenza sociale non sono preparati a sostenere le persone con disabilità durante le crisi sanitarie o umanitarie internazionali.

In Italia non è andata meglio, anzi!

In una recente intervista Roberto Speziale, Presidente Nazionale Anffas, l’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale ha raccontato come la pandemia abbia avuto un impatto significativo sulla vita di tutti noi ma soprattutto sulle persone con disabilità intellettive e dello sviluppo e le loro famiglie, aggravando una situazione già complessa e difficile e mettendone ancora di più in evidenza debolezze e criticità[2]. Le persone disabili hanno dovuto interrompere la loro routine quotidiana, le relazioni interpersonali, i loro percorsi affettivi prima ancora della frequenza dei servizi e delle attività e per un soggetto con questa disabilità cessare improvvisamente la propria routine è un fatto drammatico che altera un equilibrio raggiunto con tanta fatica. Interrompere gli stimoli – che vengono sia dai servizi sia da tutte le attività quotidiane, la scuola, i momenti di svago- non consentono a queste persone di mantenere lo status che hanno acquisito nel tempo. Nel momento in cui purtroppo vengono a mancare stimoli costanti e adeguati, si torna indietro! C’è poi un altro aspetto da considerare, non secondario: lo stress per i familiari. In una famiglia in cui vive una persona con disabilità, il vissuto quotidiano era molto complicato già prima della pandemia. Una situazione che presenta una regressione o un peggioramento provoca sofferenza e smarrimento.

Se il disagio causato dalla pandemia nelle persone con disabilità dovesse peggiorare, si verificherebbe un impatto significativo sui servizi anche da un punto di vista economico. Ulteriori difficoltà, laddove erano presenti già delle criticità non certo banali, rischia di portare il sistema a un punto di rottura. Sono stati inseriti degli interventi interessanti per la disabilità nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ma bisognerebbe pensare ad un coordinamento dei servizi per tutte le Regioni. Nascere in Sicilia o in Calabria spesso significa essere disabile due volte, perché queste aree non sono in grado di offrire l’assistenza di cui necessitano. Sarebbe auspicabile un modello secondo cui una persona con disabilità, che sia nata a Palermo o a Trento, abbia uguale accesso al servizio di parità, includendo tutto ciò che è racchiuso in un progetto di vita: scuola, salute e tempo libero.

Dopo la pandemia la sfida più grande sarà migliorare la condizione delle persone con disabilità: questo sarà essenziale per soddisfare l’ambizione dell’obiettivo di sviluppo sostenibile di non lasciare indietro nessuno. Come primo passo è necessario raccogliere dati migliori sulle disuguaglianze sanitarie che affliggono le persone con disabilità per comprendere l’epidemiologia della disabilità. Inoltre, la consapevolezza della disabilità dovrebbe essere inclusa nei programmi di studio per coloro che lavorano e fanno ricerca nell’ambito salute. La disabilità non dovrebbe più essere un “problema”, ma piuttosto essere inclusa in tutti gli sforzi di equità della sanità pubblica.


[1] https://www.thelancet.com/journals/lanpub/article/PIIS2468-2667(21)00109-2/fulltext?rss=yes

[2] https://www.theitaliantimes.it/2021/05/11/roberto-speziale-anffas-pandemia-disabilita/

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