Come si parla dell’obesità infantile su Twitter?

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A cura di Valentina Figura, laureata in Scienze della Comunicazione

Negli ultimi venti anni la prevalenza dell’obesità infantile è raddoppiata negli Stati Uniti, con il 32% dei giovani tra i 2 ed i 19 anni classificati come obesi nel 2012.

Una grande impennata l’ha ricevuta anche il numero degli utenti e l’intensità d’uso dei social network.Twitter è uno di essi, utile per diffondere a costo zero informazioni in modo veloce e pratico; ladiffusione fra gli utenti tra il 2010 ed il 2013 è raddoppiata, penetrando in fasce della popolazione come le minoranze etniche, caratterizzate dal fenomeno patologico dell’obesità infantile.

In questo studio, è stato quindi scelto l’hashtag “#childhoodobesity” per comprendere il tipo di comunicazione legata a questo tema, basandosi sul modello di Lasswell ed analizzando i tweet in base atipo di utente, contenuto del messaggio, numerosità e tipologia di “seguaci” degli utenti che comunicano tramite di essi, individuando quelli inviati a giugno 2013. Sono stati quindi codificati i testi in base a tipologia di utentefocalizzazione sul tema della salute e settore di operatività. Sono stati suddivisi i messaggi in 6 macro-categorie: comportamento (50%), ambiente (24,8%), regolamento (4,9%), eredità medica (5,2%), conseguenze dell’obesità (5,4%), obesità infantile come problema (20,1%). Anche la relazionalità degli utenti è stata studiata, con tre tipi di analisi atte a rappresentare i “nodi relazionali” creati dalla condivisione dei tweet ed a capire la tipologia degli utenti: la la statistica descrittiva della rete sociale e la sua visualizzazione, il modellamento della rete.  576 utenti hanno inviato 1110 tweet con quell’hashtag, con una media di 322 follower; il 65,6% degli utenti erano privati, rispetto al 32,9% delle organizzazioni; i seguaci invece vedevano i privati all’ultimo posto e le società no-profit al primo; le società no-profit ed il governo avevano un maggior numero di fonti su cui basarsi per fornire informazioni.

L’evidenza mostra che gli utenti più influenti, più esperti su un argomento, con una reputazione maggiormente favorevole, sono considerati più credibili rispetto agli altri.

In conclusione, gli Autori affermano che l’intervento statale non si dovrebbe basare solo sui programmi finalizzati a distogliere i bambini dalla televisione, ma anche la comunicazione su questo problema tramite i social network dovrebbe essere una strategia auspicabile per raggiungere grandi masse di utenti.

Fonte: American Journal of Public Health

 

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