Affrontare la povertà dopo la pandemia di COVID-19: è una priorità!

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di Laura Bruni, CdS Comunicazione scientifica biomedica, Sapienza Università di Roma

Secondo i dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i diritti umani nel 2019 una persona su cinque, pari al 21,1% della popolazione dell’UE, ovvero 92,4 milioni di persone, era a rischio di povertà o esclusione sociale. Le donne, in particolare, sperimentano tassi di povertà più elevati degli uomini, e questo divario si allarga con la vecchiaia a causa di pensioni inadeguate, per le quali il divario medio di genere è sbalorditivo. L’obiettivo di Europa 2020 di risollevare 20 milioni di persone dalla povertà entro tale anno è stato mancato, nonostante la costante crescita economica e occupazionale prima della pandemia di Covid-19. La pandemia ha colpito in modo sproporzionato i più poveri e ha colpito molti europei che non avevano mai affrontato la povertà prima, gonfiando il divario di disuguaglianza e il numero di povertà, la cui esatta portata richiederà anni per essere determinata. Covid-19 rappresenta una vera sfida per l’obiettivo di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite di porre fine alla povertà entro il 2030 e si stima che i tassi di povertà potrebbero aumentare per la prima volta dalla metà degli anni ’90 in Europa.

Uno dei tre impegni assunti dai leader dell’UE, dalle istituzioni europee, dalle parti sociali e dai rappresentanti della società civile al vertice sociale di Porto, tenutosi il 7 maggio 2021, è stato quello di “ridurre il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale di almeno 15 milioni, tra cui almeno 5 milioni di bambini entro il 2030”. Questi obiettivi sono incoraggianti, ma se gli obiettivi per il 2020 sono stati mancati, qual è la speranza che saranno raggiunti gli obiettivi per il 2030?

Sebbene avere obiettivi ambiziosi e identificare i dati sulla povertà sia fondamentale, ci sono problemi fondamentali nel modo in cui la povertà viene monitorata e affrontata e la pandemia di COVID-19 ha messo in luce queste carenze in tutta l’UE. Innanzitutto c’è un’enorme disparità nel modo in cui viene calcolata la povertà, sia tra i paesi che all’interno di uno stesso paese. La soglia ufficiale di povertà deve essere determinata, la definizione di povertà deve essere meglio definita e la scelta degli indicatori di povertà, che sono in gran parte determinati politicamente, deve essere ampliata e resa più inclusiva. Ad esempio, la deprivazione digitale dovrebbe essere inclusa tra gli indicatori che sono diventati evidenti durante la pandemia. Occorre considerare altri fattori quali la geografia, le vulnerabilità locali, la povertà sanitaria e l’accesso all’assistenza sanitaria per le comunità emarginate.

Le lacune nella capacità di monitoraggio della povertà dall’ultimo decennio sono aumentate durante la pandemia. I dati sulla povertà sono in genere tratti da indagini sulle famiglie, che sono state colpite dalla pandemia, e quindi l’effettiva entità della povertà durante la pandemia sarebbe difficile da determinare con precisione. Inoltre, è necessario stabilire standard adeguati per determinare chi dovrebbe essere incluso nella misurazione: i senzatetto sono spesso esclusi dalla raccolta dei dati.

Sono, poi, necessari sostegno a lungo termine e aiuti finanziari, in particolare per le fasce più vulnerabili della società: i cosiddetti nuovi poveri, che comprendono principalmente persone senza accesso digitale. La pandemia ha spostato le dinamiche della forza lavoro verso la dipendenza dall’automazione e dall’intelligenza artificiale, che è stato un progresso tecnologico ma, allo stesso tempo, ha diminuito la domanda di manodopera poco qualificata e ha portato a evidenti tagli di posti di lavoro, aumentando la disuguaglianza tra la classe digitale e non digitale e aggiungendo una spinta verso la povertà. Questa disuguaglianza indotta dalla pandemia è anche più evidente se confrontata con quella della crisi finanziaria globale del 2007, perché la natura dell’attuale crisi sanitaria ha impedito posti di lavoro in settori ad alto contatto che di solito vengono svolti da persone poco qualificate.

Infine occorre destinare protezione e investimenti specifici e a lungo termine all’assistenza sanitaria per le persone povere e in particolare per ogni bambino a rischio di povertà. I bambini provenienti da famiglie povere, che non avevano accesso ai metodi di istruzione digitali durante la pandemia, sono stati più gravemente colpiti. Senza un aiuto efficace, il rischio di povertà si tramanda da una generazione all’altra. I giovani che crescono in povertà sono generalmente più vulnerabili e più propensi a stare in cattive condizioni di salute e malnutriti, ad avere difficoltà comportamentali e di apprendimento, a non raggiungere la scuola, ad avere competenze e aspirazioni inferiori, e a essere disoccupati.

Per evitare di ripetere gli stessi errori del passato, è necessario che la strategia  dell’UE vada, oltre la semplice definizione di obiettivi, verso l’attuazione di misure coerenti e politiche forti per contrastare gli effetti negativi del COVID-19 sulla povertà e la crescente disuguaglianza nella società. Le politiche fiscali dovrebbero essere calibrate per conseguire una crescita equa e sostenibile. Gli investimenti nell’assistenza sanitaria, nell’istruzione e nella protezione sociale dovrebbero essere proseguiti a lungo termine. In assenza di politiche di sostegno per proteggere i vulnerabili, la pandemia amplierà il divario esistente in materia di disuguaglianza e spingerà un numero ancora maggiore di persone nella povertà.

Fonti:

https://www.thelancet.com/journals/lanepe/article/PIIS2666-7762(21)00133-2/fulltext

https://www.istat.it/it/archivio/258936

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