Quali prospettive per l’allergia alimentare?

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di Simona Ceccarelli, CdS Comunicazione scientifica biomedica, Sapienza Università di Roma

L’allergia alimentare è una reazione avversa a uno specifico antigene alimentare, normalmente innocuo per la popolazione sana, mediata da meccanismi immunologici e che si manifesta in un individuo suscettibile a quello specifico allergene. Si differenzia dalle reazioni avverse causate da tossine o agenti patogeni contenuti negli alimenti, nonché dalle cosiddette intolleranze alimentari, che presentano gli stessi sintomi ma riconoscono meccanismi patogenetici differenti. (1)

L’allergia alimentare è una malattia con elevato impatto anche sulla qualità di vita dei soggetti che ne sono affetti e dei loro familiari, con costi sanitari rilevanti per l’individuo e per il Sistema Sanitario Nazionale. La costante vigilanza richiesta per evitare l’alimento in causa, in particolare l’allergene non segnalato, ed il vivere con incertezza ed ansia, sono problematiche che turbano particolarmente i bambini, gli adolescenti e le relative famiglie. Di fronte a questi problemi spesso ci si trova isolati ed impotenti. (2) Si tratta di una patologia molto comune in tutto il mondo che sta diventando un grave problema di salute pubblica. Sebbene manchino dati epidemiologici precisi, è chiaro che la prevalenza di allergia alimentare è aumentata significativamente negli ultimi due decenni nei paesi occidentali, dove sono stati documentati tassi fino al 10% tra i bambini in età prescolare. Si stima che oltre 220 milioni di persone nel mondo soffrano di allergia alimentare. Ciò nonostante, fare stime precise non è facile a causa della molteplicità e gravità variabile delle presentazioni cliniche, della difficoltà di fare diagnosi oggettive considerando le forti influenze psicologiche sulla percezione soggettiva della malattia e, infine, della complessità degli strumenti diagnostici. (1)

Elementi cardine per affrontare tale patologia, oltre ad una diagnosi corretta, sono la costante vigilanza per evitare gli allergeni alimentari e la chiarezza dell’etichettatura dei prodotti alimentari. Non è stata però ancora raggiunta una semplificazione della possibilità di praticare una dieta di esclusione e, con l’etichettatura “precauzionale”, il carico della valutazione del rischio grava sul consumatore, creando insicurezza e frustrazione. D’altra parte, va segnalato che senza limiti di legge, ossia valori soglia, le aziende si trovano in oggettiva difficoltà. (2)

Ancora oggi, la valutazione del rischio non è sistematica, ovvero non viene attuata in modo adeguato e uniforme in tutto il territorio nazionale e, non di rado, la malattia è sottovalutata o non diagnosticata correttamente. Vi sono eccezioni costituite da centri di allergologia e immunologia clinica collegati in rete regionale. È auspicabile che questa realtà positiva possa ampliarsi e coinvolgere tutte le Regioni, il che consentirebbe di avere dati epidemiologici nazionali e quindi di affrontare meglio la malattia, di incrementare la sicurezza e migliorare l’assistenza del soggetto allergico riducendo i costi sanitari. (2)

Un tempo si pensava che l’allergia alimentare nei paesi in via di sviluppo fosse rara e ciò potrebbe essere attribuito a una precedente sottostima della prevalenza della patologia. (3) Negli ultimi decenni, sono stati fatti grandi passi avanti nella comprensione delle cause e dei meccanismi alla base di queste allergie e diverse ipotesi, variamente integrate tra loro, sono state formulate per spiegarne la patogenesi. Poiché la vitamina D ha funzioni immunoregolatorie[1] ben riconosciute, la sua carenza è stata considerata tra i possibili fattori di rischio per lo sviluppo della patologia. Anche le abitudini alimentari dei paesi occidentali e il basso consumo di frutta e verdura favorirebbero la sensibilizzazione allergica. La bassa esposizione ai microrganismi e la diminuzione delle infezioni nella prima infanzia costituirebbero un fattore di rischio determinante attraverso uno squilibrio delle risposte immunitarie. (1)

Questo panorama ha inevitabilmente sollecitato aggiornamenti delle linee guida che raccomandavano di evitare gli allergeni alimentari comuni durante la gravidanza e l’allattamento e di ritardare l’introduzione di alimenti allergenici nei bambini di età compresa tra 1 e 3 anni. Le recenti linee guida per la prevenzione delle allergie raccomandano invece il consumo di una dieta sana e diversificata, senza eliminare o aumentare il consumo di alimenti allergenici durante la gravidanza o l’allattamento. L’introduzione precoce di alimenti allergenici è raccomandata dalla maggior parte delle linee guida per la prevenzione delle allergie dopo un periodo di esclusivo allattamento al seno. (4)

Grazie alla crescente comprensione dei meccanismi immunologici alla base della desensibilizzazione agli antigeni alimentari, sono in corso nuove strategie terapeutiche che mirano ad importanti checkpoint immunologici per la gestione dell’allergia alimentare e che presto arriveranno nella pratica clinica. L’immunoterapia per allergie alimentari ha lo scopo di ottenere una insensibilità permanente agli allergeni alimentari o almeno di aumentare la dose soglia di cibo necessaria per innescare una reazione allergica. Dieta, integratori di probiotici e prebiotici sono altre potenziali terapie per il trattamento e la prevenzione della patologia. Le future strategie di prevenzione potrebbero mirare anche a limitare l’interruzione della barriera cutanea, colonizzare l’intestino con batteri commensali tolerogenici e introdurre cibi allergenici all’inizio della dieta. I bersagli immunologici terapeutici potrebbero essere sia le cellule effettrici T-specifiche per gli allergeni alimentari, sia le plasmacellule IgE secernenti, correlate a manifestazioni locali e sistemiche di ipersensibilità. L’espansione delle cellule Treg allergene-specifiche è probabilmente la strategia terapeutica più promettente. (1)

Maggiori opportunità di utilizzare trattamenti immuno-modificanti per la cura dell’allergia alimentare, e gli studi sulla risposta immunitaria e clinica a tali interventi, forniranno ai soggetti affetti e ai loro familiari la possibilità di scegliere uno stile di vita migliore.

Bibliografia e sitografia

  1. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC7073187/
  2. https://www.salute.gov.it/
  3. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/29174528/
  4. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/34872649/

[1] I meccanismi della vitamina D che contribuiscono alla tolleranza immunitaria includono l’induzione di cellule dendritiche tolerogeniche e cellule T regolatorie (Treg) e l’inibizione della produzione di immunoglobuline IgE nei linfociti B.

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