Il Cicciobello anti-gravidanza non funziona, anzi risveglia l’istinto materno

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Non solo non funziona, ma rischia di ottenere esattamente l’effetto opposto. Il programma di prevenzione adottato da 89 Paesi nel mondo che dovrebbe scoraggiare le teen ager a rimanere incinta ha un risvolto paradossale: il numero delle ragazze madri aumenta.

Tutta colpa di quei bambolotti, perfettamente somiglianti a veri neonati, affidati alle cure delle adolescenti. Il sadico piano prevedeva di fare passare la voglia di diventare madri facendo sperimentare alle giovani donne le pesanti incombenze dell’accudimento, croce di tutti i neogenitori: continui cambi di pannolini, l’allattamento, i pianti ingiustificati, le notti insonni e via dicendo. Ma non serve a nulla. Anzi, giocare a fare le mamme sembra faccia venire voglia di diventarlo veramente.

È quanto emerge da uno studio pubblicato su The Lancet effettuato per testare l’efficacia del programma australiano Virtual Infant Parenting (VIP). Questa campagna di prevenzione delle gravidanze indesiderate, adattata dall’equivalente americano RealityWorks, viene proposta nelle scuole e prevede lezioni teoriche sulla contraccezione, sui costi economici di un figlio, sulle rinunce alle abitudini quotidiane. Agli alunni vengono anche mostrati video con le testimonianze di alcune ragazze madri. Ma la carta vincente anti-gravidanza, secondo i promotori del progetto, è lui, o lei: il “cicciobello” hi-tech di cui le ragazze si devono occupare durante il week-end. Il bambolotto richiede le attenzioni di un vero neonato, piange quando ha fame, deve essere cambiato e scosso con delicatezza finché non fa il ruttino. E, inoltre, possiede una caratteristica che non è in dotazione ai lattanti veri: registra ciò che gli succede, quante volte ha pianto, il numero dei cambi di pannolino e tutte le eventuali dimenticanze delle mamme adottive.

Ma, nonostante ciò, i bambolotti non funzionano come spauracchio.

Lo studio ha coinvolto 57 scuole dell’Australia occidentale e circa 2.800 ragazze inizialmente tra i 13 e i 15 anni, seguite poi fino a 20 anni. Alcune di queste seguivano il programma con i pupazzi (1.267 ragazze), altre il curriculum standard di lezioni (1.567 ragazze). I ricercatori hanno confrontato i due approcci didattici con i dati di ricoveri e aborti provenienti dagli ospedali della zona.

Ebbene, le ragazze che avevano frequentato il corso di accudimento con il bambolotto avevano avuto un numero di gravidanze a aborti superiore alle altre. L’8 per cento delle “mamme virtuali” ha avuto per lo meno un figlio vero, contro il 4 per cento delle ragazze che non avevano sperimentato le simulate “gioie” della maternità. Inoltre, il 9 per cento delle allieve del singolare progetto di prevenzione delle gravidanze hanno avuto un aborto contro il 6 per cento dell’altro gruppo. I dati parlano chiaro.

«Il nostro studio – sostiene Sally Brinkman del Telethon Kids Institute, University of Western Australia di Adelaide – dimostra che il programma di prevenzione delle gravidanze proposto nell’Australia occidentale, che prevede un simulatore di neonati, non riduce il rischio di gravidanze nelle adolescenti». Tutti i Paesi che continuano a proporre i finti neonati come strumento per scoraggiare le adolescenti a rimanere incinta stanno quindi sprecando i loro soldi, sostengono i ricercatori su Lancet.

«Il problema delle gravidanze adolescenziali – avverte Julie A. Quinlivan dell’University of Notre Dame Australia in un commento collegato all’articolo – non si risolve con una bambola magica. Bisogna rivolgersi alle madri e ai padri. I programmi devono iniziare sin dall’infanzia. Si deve investire sui bambini vulnerabili per spingere gli adolescenti a non intraprendere il sentiero della gravidanza, ma quello di un futuro più brillante. Non possiamo permetterci la soluzione rapida, soprattutto quando non funziona».

Fonte: Healthdesk

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