Le nuove sfide della relazione medico-paziente

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di Michaela Liuccio

Quella che viviamo è l’epoca della patient choice, del patient involvement e del patient co-producer of health. Se un tempo la relazione medico-paziente si strutturava secondo un modello informazionale one-up/ one-down, oggi il paziente vuole essere riconosciuto come “persona” e non solo come “corpo malato”. E pertanto al medico si richiede di prestare attenzione anche alla cornice socio-culturale del paziente, alla sua living condition

Da un lato, dunque, l’empowerment del paziente comporta un aumento delle richieste di informazioni e della partecipazione dei pazienti alla gestione attiva (e interattiva) della propria salute, nonché l’affermazione del diritto e della capacità di decidere su sé stessi e la propria vita. Dall’altro si è passati dal primario compito del medico del “curare” il paziente affetto da disturbi o patologie, al “prendersi cura” del paziente nella sua totalità e globalità, ossia prendendo in carico non solo la salute fisica ma anche il benessere psico-sociale del malato. Alla base di questa differenza vi è certamente un’evoluzione dell’aspetto relazionale, informazionale e gestionale del professionista verso il paziente. 

Il viaggio del paziente contemporaneo è sempre più un “information journey”, ovvero un percorso dove la comunicazione gioca un ruolo fondamentale. Sono soprattutto importanti gli snodi dei processi di ricerca di informazioni, così come gli influentials, i mediatori nei diversi passaggi, ed infine i bisogni, i drivers (anche emozionali) che caratterizzano i momenti chiave di decisione e di scelta. Oggi il paziente non è più un good patient, ossia “passivo” ed accogliente rispetto al riconoscimento del dominio del medico, della sua esperienza e delle sue conoscenze, ma è soprattutto un consumerist patient. Il paziente si presenta all’incontro con il medico armato di un bagaglio informativo spesso tecnico e dettagliato in merito alla sua patologia, e non ha più un atteggiamento di attesa ricettiva rispetto alla conoscenza specifica ed “esperta” che solo il medico può avere. E’ piuttosto un paziente “consumatore”, ovvero che usufruisce dei prodotti materiali e immateriali di salute che sono sul mercato secondo il suo capitale economico-sociale e culturale, mettendo seriamente in crisi l’autorità del medico. 

Anche il boom di “Dr Google” ci segnala che è necessaria una diversa relazione tra medico e paziente. La maggior parte dei pazienti si rivolge al “Dr Google” per ricercare una second opinion, trovare altri trattamenti terapeutici rispetto a quelli prescritti, migliorare in generale l’autogestione di una patologia. Oppure per il bisogno di confrontarsi, di raccontare la propria storia, di essere compresi nei propri disagi non solo fisici ma anche emotivi, relazionali ed economici. Ne sono un esempio eclatante tutti i self-help e support groups, così come il rapporto che nel tempo si è sviluppato trareti on line/off line in un’ottica di community care, che trova il suo sbocco fisiologico soprattutto nelle associazioni di pazienti. Il rischio importante è che la condizione di oggettiva debolezza fisica, psicologica e relazionale, in cui si trova il paziente, dallo shock emotivo inziale all’ansia per il proprio futuro, lo renda facile preda di credenze e pratiche irrazionali, di fake news, di un “sistema profano” di riferimento che va dal conoscente che ha sofferto degli stessi sintomi, agli amici ecc. 

Per tutte queste ragioni la comunicazione efficace è diventata un’indispensabile strumento di lavoro del medico.

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